kschwab23_Chris J Ratcliffe-WPA PoolGetty Images_david attenborough Chris J. Ratcliffe/WPA/Pool/Getty Images

Un nuovo “Anno zero”

DAVOS – L’anno che verrà potrebbe passare alla storia, e in senso positivo. Trascorsi settantacinque anni dall’“Anno zero” che seguì alla Seconda guerra mondiale, ci si presenta di nuovo l’opportunità di avviare una ricostruzione. Dopo il 1945 il senso di tale processo fu letterale: costruire ex novo sulle rovine della guerra. Stavolta, invece, l’obiettivo riguarda sì l’aspetto materiale, ma anche molto altro: puntare a una maggiore sofisticazione della società, e consolidare una condizione di benessere per tutti gli abitanti del pianeta.

Nel secondo dopoguerra, si sviluppò una nuova filosofia economica fondata sulla collaborazione e l’integrazione, che aveva come obiettivo primario il benessere materiale. Tale progetto diede origine a organizzazioni internazionali come la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e l’Ocse, nonché agli accordi che avrebbero favorito la nascita dell’Organizzazione mondiale del commercio e dell’Unione europea. Il neoliberismo – basato su una convinta adesione al mercato libero e alla limitazione dell’intervento statale – s’instaurò nell’Occidente, dove diede adito a decenni di prosperità e progresso.

Ormai, però, questo modello si è esaurito. Sebbene il Covid-19 abbia assestato il colpo di grazia, era già evidente da almeno due decenni che il modello postbellico non è più sostenibile, tanto sul piano ambientale quanto su quello sociale (a causa degli sproporzionati livelli di disuguaglianza odierni). Lo storico inglese Thomas Fuller una volta disse che “l’ora più buia è quella che precede l’alba”. E tuttavia, non si può semplicemente assumere che un annus horribilis caratterizzato dalla più grave crisi sanitaria e dalla recessione più profonda del secolo sarà seguito da un anno migliore. Dobbiamo darci da fare perché ciò avvenga.

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