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L'economia della salute per tutti

LONDRA – Al mondo serve urgentemente un nuovo quadro di riferimento globale che ponga l’accento sull’equità e tragga insegnamento dalle lezioni apprese dalla pandemia di Covid-19.  Eppure, sull’assemblea mondiale della sanità, attualmente in corso, sembra incombere l’incapacità degli stati membri di rispettare la scadenza per un trattato sulle pandemie. E questo proprio quando la riunione lascerebbe ben sperare, essendo gli stati membri chiamati a votare una risoluzione sull’economia della salute per tutti, che si basa sul lavoro del Consiglio dell’Oms sull’economia della salute per tutti, di cui sono stata presidente. 

Se la risoluzione sarà approvata, l’Oms riceverà il mandato di avviare l’implementazione delle raccomandazioni del Consiglio in collaborazione con gli stati membri. Sottolineando i legami tra salute ed economia, la risoluzione individua alcuni passi specifici che l’organizzazione e i governi possono intraprendere per rendere salute e benessere una priorità politica trasversale. Il Consiglio ha invitato i governi di tutto il mondo a investire nella salute per tutti e a organizzare sistemi economici che valorizzino, finanzino, innovino e costruiscano capacità per realizzare questo obiettivo.

Plasmare le nostre economie sull’obiettivo della salute per tutti è fondamentale per prevenire, o almeno rispondere in maniera più rapida alle pandemie future. Ciò richiede però di allineare gli obiettivi strategici in ambito sanitario, economico, sociale e ambientale. Anche se i votanti a quest’assemblea saranno i ministri della sanità, non bisogna pensare che siano gli unici responsabili. La salute per tutti richiede un approccio governativo a 360 gradi, e in particolare il coinvolgimento dei ministri delle finanze e delle politiche economiche.  

Questo vale specialmente oggi. La risoluzione esorta gli stati membri a inquadrare la spesa sanitaria come un investimento a lungo termine, non come un costo a breve termine. Ma l’austerità è tornata ad affacciarsi in molti paesi, minacciando i bilanci sanitari già messi a dura prova dai costi del servizio del debito e dall’inflazione. Non è una semplice questione di comunicazione. Gli investimenti nella sanità sono, di fatto, un motore di crescita a lungo termine. L’indicatore debito/Pil è un rapporto: se i governi si concentrano sulla riduzione del debito (il numeratore) ed evitano gli investimenti per promuovere la crescita futura (il denominatore), non solo il rapporto non diminuisce, ma rischia addirittura di aumentare.

Per fortuna, la politica industriale sta tornando in auge in tutto il mondo, offrendo ai governi l’opportunità di orientare le rispettive strategie di crescita verso la salute e altre priorità critiche. Invece di focalizzarsi su settori o tecnologie selezionati, una moderna strategia industriale dovrebbe incentrarsi su coraggiose missioni sociali e ambientali, poi destinate a catalizzare investimenti, innovazione e crescita in tutti i segmenti principali dell’economia.

Come ha sottolineato il Consiglio, l’innovazione si basa sull’intelligenza collettiva, non emerge spontaneamente da una singola azienda. In tutto il mondo, l’innovazione sanitaria trae enormi benefici dagli investimenti pubblici. I vaccini anti Covid-19 a base di mRNA hanno ricevuto il sostegno di investimenti pubblici statunitensi per un valore di circa 31,9 miliardi di dollari, e rappresentano solo uno dei tanti esempi.

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Tuttavia, se l’innovazione non viene governata per il bene comune, i benefici sono condivisi solo limitatamente. Per garantire invece un’adeguata ripartizione dei rischi e dei vantaggi, serve un nuovo approccio alla collaborazione tra i settori pubblico e privato. I governi dovrebbero stabilire condizioni più severe per quanti si avvalgono del sostegno pubblico per promuovere l’innovazione in ambito sanitario, non ultimo esigendo che i nuovi prodotti e servizi sanitari siano resi ampiamente disponibili e accessibili.

Il problema è che l’attività di lobbying dell’industria farmaceutica continua a frenare il rafforzamento di queste condizioni. Nei negoziati in corso per il trattato sulle pandemie, ad esempio, alcuni interessi particolari sono riusciti a bloccare importanti misure relative ai diritti di proprietà intellettuale.

Come ho già sostenuto in passato, questi diritti non dovrebbero essere concepiti per proteggere profitti monopolistici o per inibire l’accesso a innovazioni essenziali per la salute – ad esempio, impedendo che produzione sia tempestiva ed economicamente accessibile, o rifiutando il trasferimento di conoscenze e tecnologie. In un’emergenza sanitaria come una pandemia, ognuno di noi, e ogni economia, alla fine ci rimette se un accesso equo a test, vaccini e farmaci salvavita non è una priorità assoluta. Nel caso della pandemia di Covid-19, le perdite in termini di vite umane sono state stimate in 14 milioni di persone, mentre quelle dell’economia globale in circa 14 trilioni di dollari.

La negoziazione del trattato sulle pandemie evidenzia la necessità di impostare gli strumenti politici in un’ottica orientata alla missione: se l’obiettivo è prevenire minacce catastrofiche per la salute, allora l’accordo dev’essere imperniato su questo obiettivo. E questo significa porre l’accento sull’equità. Questo vale anche per il disegno della finanza globale. I paesi a basso e medio reddito hanno bisogno di un margine di bilancio per effettuare investimenti vitali in campo sanitario. Il trattato sulle pandemie fa un qualche riferimento all’importanza delle misure di alleggerimento del debito, ma serve un impegno molto maggiore – in linea con le richieste della Bridgetown Initiative, promossa dal primo ministro barbadiano Mia Mottley –  per riformare le banche multilaterali di sviluppo e garantire che i paesi abbiano accesso ai finanziamenti non solo nella giusta quantità, ma anche della giusta qualità, e che non siano ostacolati da un debito insostenibile nell’effettuare investimenti critici e a lungo termine nella salute, nel clima e in altre priorità economiche.

La pandemia starà pure scemando, ma il mondo è ancora alle prese con molteplici crisi interconnesse legate alla salute, al clima e all’aumento delle disuguaglianze tra i paesi e all’interno di essi. Inoltre, stiamo dimenticando le lezioni degli ultimi quattro anni. I cambiamenti climatici fanno prevedere che le epidemie saranno sempre più frequenti, ma i finanziamenti per la preparazione e la risposta alle epidemie restano insufficienti.

Invece di inseguire la crescita senza pensare alle conseguenze, dovremmo orientare l’attività economica verso obiettivi di salute e benessere per le persone e verso la creazione di un ambiente sano e sostenibile. Dobbiamo sottrarci alla mentalità economica profondamente sbagliata che ha permesso alla pandemia di Covid-19 di avere conseguenze così devastanti.

Realizzare un’economia di questo tipo non è un’idea capricciosa bensì una necessità se vogliamo evitare i costi umani ed economici di un’altra pandemia. Oltre all’adozione della risoluzione, servirà un esercizio di leadership da parte dell’Oms e dei delegati degli stati membri. Se la salute per tutti è destinata a diventare, come dovrebbe, una priorità assoluta, dovrà trovare pieno riscontro nell’impostazione delle strutture di finanza pubblica e delle politiche economiche, industriali e dell’innovazione.

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