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Il mondo ha bisogno di un'agenda IA pro-umanità

BOSTON – Sono tempi incerti e confusi. Non solo siamo alle prese con pandemie, cambiamenti climatici, invecchiamento della società nelle principali economie e crescenti tensioni geopolitiche. Ma c’è anche l'intelligenza artificiale che cambierà il mondo così come lo conosciamo. Quanto velocemente e a vantaggio di chi, rimane da vedere.

Se si ascoltano gli addetti ai lavori o i giornalisti tecnologici dei principali quotidiani, si potrebbe pensare che le tecnologie per l'intelligenza artificiale generale (AGI) in grado di svolgere qualsiasi compito cognitivo umano siano dietro l'angolo. Di conseguenza, si discute molto se queste incredibili capacità ci faranno prosperare oltre ogni aspettativa, visto che gli osservatori meno iperbolici stimano che comporterà un’accelerazione della crescita del PIL di oltre l'1-2%. Oppure, se porteranno alla fine della civiltà umana con modelli di IA superintelligenti che diventeranno i nostri padroni.

Ma se si guarda a ciò che sta accadendo nell'economia reale, non si trova alcuna rottura con il passato. Non ci sono ancora prove che l'IA produca vantaggi rivoluzionari in termini di produttività. Contrariamente a quanto promesso da molti tecnologi, abbiamo ancora bisogno di radiologi (più di prima, in realtà), giornalisti, paralegali, contabili, impiegati e autisti umani. Come ho osservato di recente, non dovremmo aspettarci che nel prossimo decennio l'intelligenza artificiale sostituisca più del 5% circa delle attività svolte da esseri umani. Ci vorrà molto più tempo perché i modelli di IA acquisiscano la capacità di giudizio, le abilità di ragionamento multidimensionale e le competenze sociali necessarie per la maggior parte dei lavori e che le tecnologie di intelligenza artificiale e di visione computerizzata progrediscano al punto da poter essere combinate con i robot per svolgere compiti fisici di alta precisione, come la produzione manifatturiera e le costruzioni.

Naturalmente si tratta di previsioni. E le previsioni possono essere sbagliate. Gli addetti ai lavori evidenziano sempre più  il ritmo dei progressi; quindi, le trasformazioni rivoluzionarie potrebbero arrivare prima del previsto. Ma la storia dell'intelligenza artificiale è ricca di previsioni ambiziose da parte degli addetti ai lavori. A metà degli anni ’50 Marvin Minsky, probabilmente il nonno dell'IA, aveva previsto che le macchine avrebbero superato gli esseri umani nel giro di pochi anni. Ciò non avvenne, eppure le sue convinzioni non furono scalfite. Nel 1970 ancora insisteva sul punto,

"Tra tre o otto anni avremo una macchina con l'intelligenza generale di un essere umano medio. Intendo dire, una macchina che sarà in grado di leggere Shakespeare, lucidare un'auto, fare politica in ufficio, raccontare barzellette, litigare. A quel punto la macchina inizierà a istruirsi da sé, con una velocità fantastica. In pochi mesi raggiungerà livelli da genio e pochi mesi dopo i suoi poteri saranno incalcolabili".

Da allora previsioni altrettanto ottimistiche si sono ripetute. Salvo essere abbandonate nei periodici "inverni dell'AI". Questa volta potrebbe andare diversamente?

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Certamente le capacità dell'intelligenza artificiale generativa superano di gran lunga tutto ciò che l'industria ha prodotto in precedenza. Ma questo non significa che le tempistiche previste dal settore siano corrette. Gli sviluppatori di intelligenza artificiale, al fine di alimentare la domanda e attrarre investitori, hanno infatti interesse a creare l'impressione che sia imminente una svolta rivoluzionaria.

Ma anche un ritmo di progressi più lento è motivo di preoccupazione, visti i danni che l'IA può già provocare. Deepfake, manipolazione degli elettori e dei consumatori e sorveglianza di massa sono solo la punta dell'iceberg. L'intelligenza artificiale può inoltre essere sfruttata per l'automazione su larga scala, pure quando questo tipo di impiego non ha molto senso. Abbiamo già esempi di tecnologie digitali introdotte nei luoghi di lavoro senza una chiara idea di come possano aumentare la produttività, a partire da quella dei lavoratori esistenti. Con tutto il clamore che circonda il tema, molte aziende sentono la pressione di saltare sul carro dell'intelligenza artificiale prima di sapere come queste tecnologie possano aiutarle.

Questa corsa ai trend ha dei costi. Nel mio lavoro con Pascual Restrepo abbiamo dimostrato che un'automazione raffazzonata rappresenta la peggiore ipotesi. Se una tecnologia non è ancora in grado di aumentare la produttività in misura significativa, il suo impiego estensivo per sostituire la manodopera umana in varie mansioni comporta solo problemi senza benefici. Secondo le mie previsioni, l'IA sostituirà circa il 5% dei posti di lavoro nel prossimo decennio. In questo caso le implicazioni in termini di diseguaglianze sono piuttosto limitate. Ma se prevarrà l'entusiasmo e le aziende la adotteranno per attività lavorative che non possono essere svolte altrettanto bene dalle macchine, potremmo assistere a un aumento delle disuguaglianze senza che vi sia una spinta compensativa della produttività.

Non possiamo quindi escludere il peggiore dei mondi possibili: nessuna realizzazione del  potenziale trasformativo dell'intelligenza artificiale, ma piena dislocazione di lavoro, oltre che disinformazione e manipolazione. Sarebbe una tragedia, non solo per gli effetti negativi su lavoratori e vita sociale e politica, ma anche perché rappresenterebbe un'enorme opportunità mancata.

Progresso per chi?

È tecnicamente possibile e socialmente auspicabile avere un tipo diverso di IA, con applicazioni che integrino i lavoratori, proteggano i nostri dati e la nostra privacy, migliorino il nostro ecosistema informativo e rafforzino la democrazia.

L'intelligenza artificiale è una tecnologia dell'informazione. Sia in forma predittiva, come i motori di raccomandazione delle piattaforme dei social media, sia in quella generativa come i grandi modelli linguistici. La sua funzione è setacciare enormi quantità di informazioni e identificare modelli rilevanti. Questa capacità è un antidoto perfetto per ciò che ci affligge. Viviamo in un'epoca in cui le informazioni sono abbondanti, ma quelle utili scarseggiano. Tutto ciò che si può desiderare è su Internet, assieme a molte cose che invece non si desiderano. Ma non è facile trovare ciò che serve per un lavoro o uno scopo specifico.

Le informazioni utili favoriscono la crescita della produttività. Con David Autor e Simon Johnson, sostengo che sono più importanti che mai nell'economia di oggi. Molte professioni (infermieri, educatori, elettricisti, idraulici, operai, moderni artigiani) sono infatti ostacolate dalla mancanza di informazioni specifiche e di formazione per affrontare problemi sempre più complessi. Perché alcuni studenti rimangono indietro? Quali attrezzature e veicoli necessitano di una manutenzione preventiva? Come possiamo rilevare il funzionamento difettoso di prodotti complessi come gli aeroplani? Questo è esattamente il tipo di informazioni che l'intelligenza artificiale può fornire.

Se applicata a questi problemi, può garantire aumenti di produttività molto più consistenti di quelli ipotizzati nelle mie scarne previsioni. Se viene utilizzata per l'automazione, sostituirà i lavoratori. Ma se invece è impiegata per fornire informazioni migliori ai lavoratori, aumenterà la domanda dei loro servizi e quindi i loro guadagni.

Purtroppo, tre formidabili barriere impediscono questo percorso. Il primo è la fissazione sull'intelligenza artificiale generale (AGI). Il sogno di macchine superintelligenti sta spingendo il settore a ignorare il reale potenziale dell'IA come tecnologia informatica in grado di aiutare i lavoratori. Ciò che conta è la conoscenza accurata del settore di riferimento, ma non è su questo che il settore ha investito. Gli chatbot in grado di scrivere sonetti shakespeariani non aumenteranno le capacità degli elettricisti di svolgere nuove sofisticate attività. Del resto, se si crede davvero che l'intelligenza artificiale generale sia vicina, perché preoccuparsi di aiutare gli elettricisti?

Il problema non è solo l'ossessione per l’AGI. Come principio generale, gli strumenti dovrebbero fare cose che gli esseri umani non sono in grado di fare in modo efficiente. È quello che fanno i martelli e le calcolatrici. Ed è ciò che avrebbe potuto fare Internet, se non fosse stato corrotto dai social media. Ma l'industria tecnologica ha adottato una prospettiva opposta, favorendo strumenti digitali che possono sostituire gli esseri umani piuttosto che integrarli. Ciò è dovuto in parte al fatto che molti leader del settore tecnologico sottovalutano il talento umano ed esagerano i limiti e la fallibilità dell'uomo. Ovviamente gli esseri umani commettono errori. Ma apportano anche una miscela unica di prospettive, talenti e strumenti cognitivi in ogni attività. Abbiamo bisogno di un paradigma industriale che, anziché celebrare la superiorità delle macchine, enfatizzi la loro forza principale, che consiste nell’aumentare ed espandere le capacità umane.

Un secondo ostacolo è la mancanza di investimenti negli esseri umani. L'IA può essere uno strumento di potenziamento umano solo se si investe altrettanto nella formazione e nelle competenze. Gli strumenti di intelligenza artificiale che integrano i lavoratori non serviranno a nulla se la maggior parte degli esseri umani non è in grado di utilizzarli o di acquisire ed elaborare le informazioni che forniscono. Abbiamo impiegato molto tempo per capire come gestire le informazioni provenienti da nuove fonti come la stampa, la radio, la televisione e Internet. Ma i tempi saranno più rapidi per l'IA, anche se lo scenario della "imminente intelligenza artificiale generale" rimane largamente campato in aria.

L'unico modo per garantire che gli esseri umani ne traggano vantaggio, anziché esserne ingannati, è investire nella formazione e nell'istruzione a tutti i livelli. Ciò significa andare oltre il banale consiglio di investire in competenze complementari all'IA. Che sebbene ovviamente necessario, è comunque insufficiente. Quello di cui abbiamo veramente bisogno è insegnare a studenti e lavoratori a coesistere con gli strumenti dell'intelligenza artificiale e utilizzarli nel modo giusto.

Il terzo ostacolo è rappresentato dai modelli di business dell'industria tecnologica. Non otterremo un'IA migliore se le aziende tecnologiche non vi investono. Ma il settore è oggi più concentrato che mai, e le aziende dominanti sono completamente dedicate alla ricerca sull’AGI e sulle applicazioni che sostituiscono e manipolano l'essere umano. Un'enorme fetta dei ricavi del settore proviene dagli annunci digitali, basati sulla raccolta di dati approfonditi degli utenti e sulla loro adesione alle piattaforme e alle loro offerte, e dalla vendita di strumenti e servizi per l'automazione.

Ma è improbabile che nuovi modelli di business emergano da soli. Gli operatori storici hanno costruito grandi imperi e monopolizzato le risorse chiave di capitale, dati e talenti, lasciando gli aspiranti concorrenti in una posizione di crescente svantaggio competitivo. Eventuali nuovi operatori che si facessero strada sarebbero probabilmente acquisiti da uno dei giganti tecnologici e non sfiderebbero il loro modello di business.

Il punto è che abbiamo bisogno di un'agenda contro l’intelligenza artificiale generale, che sia invece pro-umanità. I lavoratori e i cittadini dovrebbero avere il potere di spingere l'IA in una direzione che possa mantenere la sua promessa di essere una tecnologia dell'informazione. Ma perché ciò accada, avremo bisogno di una nuova narrativa nei media, nella politica e nella società civile, e di normative e politiche molto migliori. I governi possono contribuire a cambiare la direzione dell'intelligenza artificiale, anziché limitarsi a reagire ai problemi che si presentano. Ma occorre innanzitutto che i politici riconoscano il problema.

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