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Il grande fallimento del piccolo governo

LONDRA – Decenni di privatizzazioni, outsourcing e tagli al bilancio in nome dell’“efficienza” hanno notevolmente pregiudicato la risposta di molti governi all’emergenza COVID-19. Allo stesso tempo, però, interventi ben riusciti di altri governi hanno dimostrato che investire nelle capacità chiave del settore pubblico fa una grande differenza in tempi di crisi. I paesi che hanno gestito bene il problema sono quelli in cui lo stato intrattiene un rapporto proficuo con chi crea valore nella società, investendo in funzioni e risorse cruciali e progettando accordi con il settore privato nell’interesse della collettività.   

Dagli Stati Uniti e dal Regno Unito fino all’Europa, al Giappone e al Sudafrica, i governi stanno investendo miliardi – e, in alcuni casi, migliaia di miliardi – di dollari per consolidare le economie nazionali. Eppure, se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla crisi finanziaria del 2008, è che la qualità conta almeno quanto la quantità. Se il denaro piove su strutture vuote, deboli o mal gestite, è destinato ad avere un impatto limitato e rischia di finire risucchiato nel settore finanziario. Ci sono troppe vite in gioco per ripetere gli errori del passato.

Purtroppo, nell’ultimo mezzo secolo, il messaggio politico dominante in molti paesi è stato che i governi non possono – e quindi non dovrebbero – effettivamente governare. Politici, imprenditori ed esperti si basano da tempo su una dottrina gestionale incentrata ossessivamente su misure di efficienza statica per giustificare tagli alla spesa, privatizzazioni e outsourcing.   

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