SAN DIEGO – È difficile immaginare effetti più devastanti del cambiamento climatico degli incendi che infuriano in California, Oregon e Washington, o la processione di uragani che si sono avvicinati – e a volte hanno devastato – la Costa del Golfo. Si sono registrate anche ondate di calore mortali in India, Pakistan e in Europa, e inondazioni devastanti nel Sudest asiatico. Ma c’è di peggio davanti, con un rischio, in particolare, così grande che da solo minaccia l’umanità stessa: il rapido esaurimento dei ghiacci nel Mar Glaciale Artico.
Ricordando un film di Alfred Hitchcock, questa “bomba” climatica – che, a un certo punto, potrebbe più che raddoppiare il tasso di riscaldamento globale – ha un timer che viene guardato con crescente ansia. Ogni settembre, l’estensione dei ghiacci artici raggiunge il suo livello più basso, prima che i prolungati periodi di buio e le temperature in calo lo inducano ad espandersi di nuovo. A questo punto, gli scienziati confrontano la sua estensione con gli anni precedenti.
I risultati dovrebbero spaventare tutti noi. Quest’anno, le misurazioni del National Snow and Ice Data Center di Boulder, Colorado, mostrano che la calotta glaciale si è ridotta come mai prima d’ora, e secondo una ricerca appena pubblicata il ghiaccio marino invernale nel Mare di Bering della zona artica ha raggiunto il livello più basso in 5.500 anni nel 2018 e nel 2019.
In tutto l’Artico, il ghiaccio marino ha raggiunto la sua seconda estensione minima il 15 settembre. I valori variano di anno in anno, ma il trend è inesorabilmente al ribasso: le 14 estensioni più basse si sono verificate tutte il 14 settembre degli ultimi 14 anni.
Ma il ghiaccio marino non copre solo meno area, si sta anche assottigliando. Il ghiaccio marino più vecchio (quello che ha più di quattro anni), più resistente allo scioglimento, ora costituisce meno dell’1% del ghiaccio marino totale. Al momento prevale il ghiaccio del primo anno, lasciando la copertura di ghiaccio più fragile e più rapida allo scioglimento. Gli scienziati si aspettano che l’Oceano artico possa restare praticamente senza ghiaccio alla fine dell’estate entro un decennio o due.
Gli effetti sarebbero catastrofici. In uno scenario estremo, che potrebbe avvenire entro i prossimi decenni, la perdita di tutto il ghiaccio durante la totalità dei mesi illuminati dal sole produrrebbe un riscaldamento globale radiativo equivalente all’aggiunta di tre mila miliardi di tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera. In prospettiva, nei 270 anni dall’inizio della rivoluzione industriale, 2,4 mila miliardi di tonnellate di CO2 sono state aggiunte all’atmosfera. Circa il 30% del riscaldamento artico è già stato aggiunto al clima a causa del ghiaccio perso tra il 1979 e il 2016, e il riscaldamento aumenta rapidamente a fronte di una maggiore perdita di ghiaccio rimanente.
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Questo scenario estremo spingerebbe in avanti di 25 anni il cambiamento climatico e potrebbe essere verosimile. Solo lo scorso mese, un blocco di ghiaccio grande quanto due volte Manhattan si è staccato dalla più grande banchina di ghiaccio artico rimanente, nel nordest della Groenlandia, dopo le temperature estive da record.
Nel frattempo, sulla terraferma, rischia molto anche lo strato di ghiaccio della Groenlandia. Con il riscaldamento artico che avviene almeno due volte più velocemente del riscaldamento globale medio, il tasso di scioglimento della Groenlandia si è almeno triplicato negli ultimi vent’anni. Si ritiene che questo processo diverrà irreversibile in un decennio o meno. Alla fine, questo scioglimento farà salire il livello del mare fino a sette metri (23 piedi), sommergendo città costiere, anche se questo picco molto probabilmente non sarà raggiunto per centinaia di anni.
Ad aggravare il problema dell’accelerazione del riscaldamento artico c’è il rischio reale di scongelamento del permafrost. Con il doppio di carbonio immagazzinato nel permafrost rispetto all’atmosfera, rilasciarne anche solo una parte potrebbe essere disastroso. Il disgelo del permafrost rilascerebbe gas serra ancora più potenti: protossido di azoto e metano. Con l’aumento delle temperature globali, è possibile che possa essere emessa una quantità maggiore di metano dai fondali poco profondi della piattaforma artica siberiana orientale.
È chiaro: serve un’azione urgente per mitigare questi rischi enormi, e anche esistenziali. È necessaria, ma non sufficiente, una rapida riduzione delle emissioni di CO2. In effetti, gli studi dimostrano che anche tagli rapidi nella CO2 mitigherebbero il riscaldamento da CO2 solo di 0,1-0,3 gradi centigradi entro il 2050.
È per questo che è essenziale anche abbattere le emissioni dei cosiddetti inquinanti atmosferici di breve durata: metano, nerofumo, idrofluorocarburi (HFC) e ozono troposferico. Un’azione di questo genere potrebbe mitigare il riscaldamento sei volte tanto quanto le riduzioni di emissioni di CO2 entro il 2050. In generale, eliminare le emissioni di questi super inquinanti dimezzerebbe il tasso di riscaldamento globale totale e ridurrebbe il riscaldamento artico di due terzi.
Alcuni passi avanti sono stati fatti. Quasi quattro anni fa, a Kigali, Ruanda, 197 paesi hanno adottato un emendamento al Protocollo di Montreal che puntava alla graduale riduzione degli idrocarburi. (Il Protocollo di Montreal ha agevolato la graduale riduzione di quasi 100 sostanze chimiche che alimentano il riscaldamento globale e mettono in pericolo lo strato di ozono).
Inoltre, negli Stati Uniti, il Senato ha raggiunto un patto bipartisan lo scorso mese per tagliare la produzione e l’importazione degli idrofluorocarburi del 85% entro il 2036. La California, dal canto suo, ha ridotto le emissioni di nerofumo del 90% dagli anni ‘60, e dimezzerà il resto entro il 2030. E la Climate Alliance americana – un gruppo bipartisan di 25 governatori di stato – ha fissato l’obiettivo di ridurre le emissioni di metano del 40-50% entro il 2030.
Si tratta di obiettivi lodevoli. Per conseguirli, però, per non parlare dei target più ambiziosi necessari per frenare l’aumento della temperatura globale, dovremo superare i forti venti contrari, a partire dall’amministrazione del presidente americano Donald Trump, che si oppone agli obiettivi di riduzione delle emissioni.
Anche se Trump perdesse le elezioni del prossimo mese, l’Artico, e l’intero Pianeta, si ritroveranno in grave pericolo a meno che la nuova amministrazione non intensifichi radicalmente gli sforzi per tagliare le emissioni sia di CO2 e degli inquinanti atmosferici di breve durata. Le persone di tutto il mondo stanno già perdendo case e mezzi di sussistenza a causa di incendi mortali, inondazioni, tempeste e altri disastri. Il peggio potrebbe ancora venire.
Traduzione di Simona Polverino
Mario Molina è morto nel periodo in cui preparava questo articolo. Qui potete leggere il tributo ad opera del co-autore, Durwood Zaelke,
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In 2024, global geopolitics and national politics have undergone considerable upheaval, and the world economy has both significant weaknesses, including Europe and China, and notable bright spots, especially the US. In the coming year, the range of possible outcomes will broaden further.
offers his predictions for the new year while acknowledging that the range of possible outcomes is widening.
SAN DIEGO – È difficile immaginare effetti più devastanti del cambiamento climatico degli incendi che infuriano in California, Oregon e Washington, o la processione di uragani che si sono avvicinati – e a volte hanno devastato – la Costa del Golfo. Si sono registrate anche ondate di calore mortali in India, Pakistan e in Europa, e inondazioni devastanti nel Sudest asiatico. Ma c’è di peggio davanti, con un rischio, in particolare, così grande che da solo minaccia l’umanità stessa: il rapido esaurimento dei ghiacci nel Mar Glaciale Artico.
Ricordando un film di Alfred Hitchcock, questa “bomba” climatica – che, a un certo punto, potrebbe più che raddoppiare il tasso di riscaldamento globale – ha un timer che viene guardato con crescente ansia. Ogni settembre, l’estensione dei ghiacci artici raggiunge il suo livello più basso, prima che i prolungati periodi di buio e le temperature in calo lo inducano ad espandersi di nuovo. A questo punto, gli scienziati confrontano la sua estensione con gli anni precedenti.
I risultati dovrebbero spaventare tutti noi. Quest’anno, le misurazioni del National Snow and Ice Data Center di Boulder, Colorado, mostrano che la calotta glaciale si è ridotta come mai prima d’ora, e secondo una ricerca appena pubblicata il ghiaccio marino invernale nel Mare di Bering della zona artica ha raggiunto il livello più basso in 5.500 anni nel 2018 e nel 2019.
In tutto l’Artico, il ghiaccio marino ha raggiunto la sua seconda estensione minima il 15 settembre. I valori variano di anno in anno, ma il trend è inesorabilmente al ribasso: le 14 estensioni più basse si sono verificate tutte il 14 settembre degli ultimi 14 anni.
Ma il ghiaccio marino non copre solo meno area, si sta anche assottigliando. Il ghiaccio marino più vecchio (quello che ha più di quattro anni), più resistente allo scioglimento, ora costituisce meno dell’1% del ghiaccio marino totale. Al momento prevale il ghiaccio del primo anno, lasciando la copertura di ghiaccio più fragile e più rapida allo scioglimento. Gli scienziati si aspettano che l’Oceano artico possa restare praticamente senza ghiaccio alla fine dell’estate entro un decennio o due.
Gli effetti sarebbero catastrofici. In uno scenario estremo, che potrebbe avvenire entro i prossimi decenni, la perdita di tutto il ghiaccio durante la totalità dei mesi illuminati dal sole produrrebbe un riscaldamento globale radiativo equivalente all’aggiunta di tre mila miliardi di tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera. In prospettiva, nei 270 anni dall’inizio della rivoluzione industriale, 2,4 mila miliardi di tonnellate di CO2 sono state aggiunte all’atmosfera. Circa il 30% del riscaldamento artico è già stato aggiunto al clima a causa del ghiaccio perso tra il 1979 e il 2016, e il riscaldamento aumenta rapidamente a fronte di una maggiore perdita di ghiaccio rimanente.
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Nel frattempo, sulla terraferma, rischia molto anche lo strato di ghiaccio della Groenlandia. Con il riscaldamento artico che avviene almeno due volte più velocemente del riscaldamento globale medio, il tasso di scioglimento della Groenlandia si è almeno triplicato negli ultimi vent’anni. Si ritiene che questo processo diverrà irreversibile in un decennio o meno. Alla fine, questo scioglimento farà salire il livello del mare fino a sette metri (23 piedi), sommergendo città costiere, anche se questo picco molto probabilmente non sarà raggiunto per centinaia di anni.
Ad aggravare il problema dell’accelerazione del riscaldamento artico c’è il rischio reale di scongelamento del permafrost. Con il doppio di carbonio immagazzinato nel permafrost rispetto all’atmosfera, rilasciarne anche solo una parte potrebbe essere disastroso. Il disgelo del permafrost rilascerebbe gas serra ancora più potenti: protossido di azoto e metano. Con l’aumento delle temperature globali, è possibile che possa essere emessa una quantità maggiore di metano dai fondali poco profondi della piattaforma artica siberiana orientale.
È chiaro: serve un’azione urgente per mitigare questi rischi enormi, e anche esistenziali. È necessaria, ma non sufficiente, una rapida riduzione delle emissioni di CO2. In effetti, gli studi dimostrano che anche tagli rapidi nella CO2 mitigherebbero il riscaldamento da CO2 solo di 0,1-0,3 gradi centigradi entro il 2050.
È per questo che è essenziale anche abbattere le emissioni dei cosiddetti inquinanti atmosferici di breve durata: metano, nerofumo, idrofluorocarburi (HFC) e ozono troposferico. Un’azione di questo genere potrebbe mitigare il riscaldamento sei volte tanto quanto le riduzioni di emissioni di CO2 entro il 2050. In generale, eliminare le emissioni di questi super inquinanti dimezzerebbe il tasso di riscaldamento globale totale e ridurrebbe il riscaldamento artico di due terzi.
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Inoltre, negli Stati Uniti, il Senato ha raggiunto un patto bipartisan lo scorso mese per tagliare la produzione e l’importazione degli idrofluorocarburi del 85% entro il 2036. La California, dal canto suo, ha ridotto le emissioni di nerofumo del 90% dagli anni ‘60, e dimezzerà il resto entro il 2030. E la Climate Alliance americana – un gruppo bipartisan di 25 governatori di stato – ha fissato l’obiettivo di ridurre le emissioni di metano del 40-50% entro il 2030.
Si tratta di obiettivi lodevoli. Per conseguirli, però, per non parlare dei target più ambiziosi necessari per frenare l’aumento della temperatura globale, dovremo superare i forti venti contrari, a partire dall’amministrazione del presidente americano Donald Trump, che si oppone agli obiettivi di riduzione delle emissioni.
Anche se Trump perdesse le elezioni del prossimo mese, l’Artico, e l’intero Pianeta, si ritroveranno in grave pericolo a meno che la nuova amministrazione non intensifichi radicalmente gli sforzi per tagliare le emissioni sia di CO2 e degli inquinanti atmosferici di breve durata. Le persone di tutto il mondo stanno già perdendo case e mezzi di sussistenza a causa di incendi mortali, inondazioni, tempeste e altri disastri. Il peggio potrebbe ancora venire.
Traduzione di Simona Polverino
Mario Molina è morto nel periodo in cui preparava questo articolo. Qui potete leggere il tributo ad opera del co-autore, Durwood Zaelke,