SINGAPORE – La capacità sempre maggiore delle persone di scambiarsi direttamente beni, servizi e lavoro, tramite piattaforme online, sta trasformando le modalità di funzionamento delle economie moderne. Ma al fine di garantire che l’incremento della “economia della condivisione” possa funzionare in modo efficiente e migliorare le condizioni di tutte le parti coinvolte, è necessaria una certa regolamentazione.
Oggi, le persone possono aggirare le molte imprese di servizi tradizionali. Possono condividere i trasporti, utilizzando Uber, Lyft, o RelayRides; fornire un alloggio tramite Airbnb; offrire faccende domestiche via TaskRabbit, Fiverr, o Mechanical Turk; e organizzare le proprie consegne di generi alimentari con Favor e Instacart. Allo stesso modo, piattaforme di raccolta fondi, come Kickstarter e Lending Club, consentono alle start-up di raccogliere sovvenzioni, prestiti o investimenti tra la popolazione in generale, piuttosto che affidarsi a un intermediario finanziario.
Tagliando fuori l’intermediario, queste piattaforme online responsabilizzano gli individui, riducono i costi di transazione, e creano un’economia più inclusiva. Ma la loro evoluzione è tutt’altro che semplice, e molti servizi di questo tipo richiederanno un’attenta regolamentazione per essere in grado di espandersi - come dimostrano in Europa le proteste e le sentenze dei tribunali contro Uber.
Una ragione per cui Uber e altri pionieri della sharing economy sono così dirompenti è che essi rappresentano una forma altamente efficiente di capitalismo peer-to-peer. Acquirenti e venditori possono concordare direttamente il prezzo di ogni transazione, e la reputazione dell’impresa dipende dai commenti trasparenti dei clienti, che generano una pressione continua verso il miglioramento delle prestazioni.
La sharing economy aumenta anche l’imprenditorialità, poiché la gente intravede nuove strade per colmare le lacune del mercato. Quello che era iniziato come un modo semplice per le famiglie di aumentare il proprio reddito – a partire dall’affitto del proprio appartamento o della propria auto - è diventata una forza dirompente formidabile. La rivista Forbes stima che nel 2013 i ricavi della sharing economy hanno raggiunto i 3,5 miliardi di dollari. Durante la Coppa del Mondo di calcio del 2014 in Brasile, un paese con una cronica carenza di camere d’albergo, più di 100 mila persone hanno utilizzato i siti web di home-sharing per trovare una sistemazione.
L’opportunità di acquistare o vendere è diventata anche molto più inclusiva: negli Stati Uniti la metà degli ospiti di Airbnb hanno un reddito stimabile tra il basso e il moderato, e globalmente il 90% dei padroni di casa da in affitto il proprio alloggio di residenza.
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Diverse città hanno riconosciuto i vantaggi che potrebbero derivare dalla promozione della sharing economy. Seattle, per esempio, ha liberalizzato i settori dei trasporti e dell’accoglienza, sfidando il monopolio dei taxi e del settore alberghiero della città.
Ma un cambiamento economico di questa portata ha inevitabilmente i suoi oppositori, alcuni con legittime preoccupazioni. Le imprese del tipo peer-to-peer battono sul prezzo gli operatori storici non pagando le tasse del settore? Tali imprese - ricche grazie al capitale di rischio - operano in perdita, per potere acquisire quote di mercato? E a queste aziende dovrebbe essere consentito di accedere ai dati personali delle telecomunicazioni per conoscere le abitudini e i movimenti dei clienti, dando loro un vantaggio sleale?
Alcune aziende hanno fissato i propri standard operativi. TaskRabbit, che subappalta lavori domestici come il montaggio dei mobili Ikea, richiede ai partecipanti di pagare un salario minimo, e ha lanciato un regime assicurativo per la protezione dei propri lavoratori statunitensi. D’altra parte, le piattaforme tecnologiche che utilizzano “la programmazione algoritmica” per allineare automaticamente i turni e le ore dei lavoratori con i cicli economici, continuano a sconvolgere la vita familiare e causare stress inutili. I politici hanno bisogno di stare al passo con queste tendenze della sharing economy.
Poiché i servizi e il software operano nella stessa direzione, i funzionari pubblici dovrebbero migliorare le loro competenze tecniche e lavorare con il settore privato per garantire l’equità e l’efficienza del mercato. Ad esempio, dovrebbero impedire la manipolazione delle recensioni ed altre pratiche fuorvianti per i consumatori che cercano di valutare la qualità del servizio di una impresa. Airbnb e l’agente di viaggi online Expedia consentono recensioni solo da parte dei clienti che hanno effettivamente utilizzato i loro servizi; cosa che potrebbe diventare una norma regolatrice per tutta la sharing economy.
I governi hanno anche un ruolo più ampio. Poiché sempre più persone “collezionano carriere” - basandosi su diverse fonti di reddito, piuttosto che su un singolo lavoro - diventa più difficile raccogliere e analizzare i dati del mercato del lavoro. I governi avranno bisogno di nuovi standard contabili e di presentazione per calcolare salari, redditi di previsione, e classificare i lavoratori all’interno delle crescente schiera di lavoratori autonomi. Tali norme, insieme con le linee guida di condivisione dei dati, aiuteranno a determinare se, e quanto, tassare le operazioni della sharing economy.
Niente di tutto questo sarà facile. Anche se il lavoro autonomo e il lavoro a tempo parziale non sono certamente una novità, la sharing economy è diversa, perché permette ai liberi professionisti di diventare “nano-lavoratori”, che si spostano tra i datori di lavoro non solo mensilmente o anche settimanalmente, ma più volte al giorno. Mentre i tassi di disoccupazione negli Stati Uniti ed in Europa restano elevati e i salari ristagnano, le persone fanno sempre più affidamento su flussi di reddito differenti di questo tipo. Oggi, quasi 27 milioni di Americani sopravvivono con redditi part-time e basati su lavori a progetto.
Con quasi la metà dei posti di lavoro nel settore dei servizi dei paesi OCSE a rischio di automazione, la sharing economy può smussare la grave situazione dei lavoratori che perdono il lavoro aggiornando le loro competenze. Infatti, i dati sulla sharing economy potrebbero aiutare i governi ad individuare i lavoratori maggiormente a rischio e sostenere la loro riqualificazione.
La sharing economy riflette la convergenza tra l’imprenditorialità e la connettività tecnologica. I tassisti e i proprietari di hotel possono sentirsi minacciati, ma la sharing economy ha il potenziale per aumentare e ridistribuire guadagni in città già in lotta contro povertà e disuguaglianze. Coloro che sono senza lavoro possono avere decisamente migliori prospettive in quell’ambiente più prospero e inclusivo che la sharing economy promette di creare.
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In betting that the economic fallout from his sweeping new tariffs will be worth the gains in border security, US President Donald Trump is gambling with America’s long-term influence and prosperity. In the future, more countries will have even stronger reasons to try to reduce their reliance on the United States.
thinks Donald Trump's trade policies will undermine the very goals they aim to achieve.
While America’s AI industry arguably needed shaking up, the news of a Chinese startup beating Big Tech at its own game raises some difficult questions. Fortunately, if US tech leaders and policymakers can take the right lessons from DeepSeek's success, we could all end up better for it.
considers what an apparent Chinese breakthrough means for the US tech industry, and innovation more broadly.
SINGAPORE – La capacità sempre maggiore delle persone di scambiarsi direttamente beni, servizi e lavoro, tramite piattaforme online, sta trasformando le modalità di funzionamento delle economie moderne. Ma al fine di garantire che l’incremento della “economia della condivisione” possa funzionare in modo efficiente e migliorare le condizioni di tutte le parti coinvolte, è necessaria una certa regolamentazione.
Oggi, le persone possono aggirare le molte imprese di servizi tradizionali. Possono condividere i trasporti, utilizzando Uber, Lyft, o RelayRides; fornire un alloggio tramite Airbnb; offrire faccende domestiche via TaskRabbit, Fiverr, o Mechanical Turk; e organizzare le proprie consegne di generi alimentari con Favor e Instacart. Allo stesso modo, piattaforme di raccolta fondi, come Kickstarter e Lending Club, consentono alle start-up di raccogliere sovvenzioni, prestiti o investimenti tra la popolazione in generale, piuttosto che affidarsi a un intermediario finanziario.
Tagliando fuori l’intermediario, queste piattaforme online responsabilizzano gli individui, riducono i costi di transazione, e creano un’economia più inclusiva. Ma la loro evoluzione è tutt’altro che semplice, e molti servizi di questo tipo richiederanno un’attenta regolamentazione per essere in grado di espandersi - come dimostrano in Europa le proteste e le sentenze dei tribunali contro Uber.
Una ragione per cui Uber e altri pionieri della sharing economy sono così dirompenti è che essi rappresentano una forma altamente efficiente di capitalismo peer-to-peer. Acquirenti e venditori possono concordare direttamente il prezzo di ogni transazione, e la reputazione dell’impresa dipende dai commenti trasparenti dei clienti, che generano una pressione continua verso il miglioramento delle prestazioni.
La sharing economy aumenta anche l’imprenditorialità, poiché la gente intravede nuove strade per colmare le lacune del mercato. Quello che era iniziato come un modo semplice per le famiglie di aumentare il proprio reddito – a partire dall’affitto del proprio appartamento o della propria auto - è diventata una forza dirompente formidabile. La rivista Forbes stima che nel 2013 i ricavi della sharing economy hanno raggiunto i 3,5 miliardi di dollari. Durante la Coppa del Mondo di calcio del 2014 in Brasile, un paese con una cronica carenza di camere d’albergo, più di 100 mila persone hanno utilizzato i siti web di home-sharing per trovare una sistemazione.
L’opportunità di acquistare o vendere è diventata anche molto più inclusiva: negli Stati Uniti la metà degli ospiti di Airbnb hanno un reddito stimabile tra il basso e il moderato, e globalmente il 90% dei padroni di casa da in affitto il proprio alloggio di residenza.
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Ma un cambiamento economico di questa portata ha inevitabilmente i suoi oppositori, alcuni con legittime preoccupazioni. Le imprese del tipo peer-to-peer battono sul prezzo gli operatori storici non pagando le tasse del settore? Tali imprese - ricche grazie al capitale di rischio - operano in perdita, per potere acquisire quote di mercato? E a queste aziende dovrebbe essere consentito di accedere ai dati personali delle telecomunicazioni per conoscere le abitudini e i movimenti dei clienti, dando loro un vantaggio sleale?
Alcune aziende hanno fissato i propri standard operativi. TaskRabbit, che subappalta lavori domestici come il montaggio dei mobili Ikea, richiede ai partecipanti di pagare un salario minimo, e ha lanciato un regime assicurativo per la protezione dei propri lavoratori statunitensi. D’altra parte, le piattaforme tecnologiche che utilizzano “la programmazione algoritmica” per allineare automaticamente i turni e le ore dei lavoratori con i cicli economici, continuano a sconvolgere la vita familiare e causare stress inutili. I politici hanno bisogno di stare al passo con queste tendenze della sharing economy.
Poiché i servizi e il software operano nella stessa direzione, i funzionari pubblici dovrebbero migliorare le loro competenze tecniche e lavorare con il settore privato per garantire l’equità e l’efficienza del mercato. Ad esempio, dovrebbero impedire la manipolazione delle recensioni ed altre pratiche fuorvianti per i consumatori che cercano di valutare la qualità del servizio di una impresa. Airbnb e l’agente di viaggi online Expedia consentono recensioni solo da parte dei clienti che hanno effettivamente utilizzato i loro servizi; cosa che potrebbe diventare una norma regolatrice per tutta la sharing economy.
I governi hanno anche un ruolo più ampio. Poiché sempre più persone “collezionano carriere” - basandosi su diverse fonti di reddito, piuttosto che su un singolo lavoro - diventa più difficile raccogliere e analizzare i dati del mercato del lavoro. I governi avranno bisogno di nuovi standard contabili e di presentazione per calcolare salari, redditi di previsione, e classificare i lavoratori all’interno delle crescente schiera di lavoratori autonomi. Tali norme, insieme con le linee guida di condivisione dei dati, aiuteranno a determinare se, e quanto, tassare le operazioni della sharing economy.
Niente di tutto questo sarà facile. Anche se il lavoro autonomo e il lavoro a tempo parziale non sono certamente una novità, la sharing economy è diversa, perché permette ai liberi professionisti di diventare “nano-lavoratori”, che si spostano tra i datori di lavoro non solo mensilmente o anche settimanalmente, ma più volte al giorno. Mentre i tassi di disoccupazione negli Stati Uniti ed in Europa restano elevati e i salari ristagnano, le persone fanno sempre più affidamento su flussi di reddito differenti di questo tipo. Oggi, quasi 27 milioni di Americani sopravvivono con redditi part-time e basati su lavori a progetto.
Con quasi la metà dei posti di lavoro nel settore dei servizi dei paesi OCSE a rischio di automazione, la sharing economy può smussare la grave situazione dei lavoratori che perdono il lavoro aggiornando le loro competenze. Infatti, i dati sulla sharing economy potrebbero aiutare i governi ad individuare i lavoratori maggiormente a rischio e sostenere la loro riqualificazione.
La sharing economy riflette la convergenza tra l’imprenditorialità e la connettività tecnologica. I tassisti e i proprietari di hotel possono sentirsi minacciati, ma la sharing economy ha il potenziale per aumentare e ridistribuire guadagni in città già in lotta contro povertà e disuguaglianze. Coloro che sono senza lavoro possono avere decisamente migliori prospettive in quell’ambiente più prospero e inclusivo che la sharing economy promette di creare.