emelien1_ThierryChesnotGettyImages_macronshakingfanshands Thierry Chesnot/Getty Images

Un antidoto dal basso contro il populismo

PARIGI – I partiti politici che una volta dominavano le democrazie occidentali sono stati scossi dalle fondamenta. Molti di essi hanno subito vere e proprie disfatte elettorali, non ultimo in Francia, Italia, Grecia, Regno Unito e altrove. Altri, invece, sono cambiati a tal punto da avere mantenuto soltanto il nome originale. Il partito repubblicano del presidente americano Donald Trump ha poco in comune con quello dell’ex presidente Ronald Reagan. 

Tali sviluppi sono visibili in tutto l’occidente. I leader dei partiti un tempo dominanti oscillano tra negazione e disperazione, mentre i populisti assorbono i loro sostenitori tradizionali. C’è chi rifiuta di vedere una ragione legittima nella propria sconfitta, liquidando i sostenitori dei suoi avversari come “pessimi”, come fece Hillary Clinton poco prima di uscire sconfitta contro Trump nel 2016. Altri, invece, sono troppo scioccati dall’ascesa populista per riuscire a organizzare una controffensiva. 

Ma non saranno né la negazione né l’autocompiacimento a risolvere l’impasse politica. I progressisti devono rimettersi in sesto, e questa ricostruzione deve partire da una diagnosi delle carenze dei partiti tradizionali. Una parte del problema è che i partiti tradizionali non hanno riconosciuto i veri problemi del nostro tempo. Impegnati a combattere sui vecchi campi di battaglia ideologici, hanno ignorato il declino della mobilità sociale, le crescenti crisi ambientali, l’aumento della disuguaglianza geografica, le tensioni legate alla multiculturalità, e altre questioni che stanno a cuore agli elettori. Decenni fa, essi erano l’avanguardia; oggi, sono soli nei boschi, chiedendosi dove siano spariti tutti. 

Le scienze sociali potrebbero fornire una risposta sul perché questi partiti hanno smarrito la strada. Il divario tra la loro analisi oggettiva della realtà e le politiche di governo è diventato abissale. Nella maggior parte dei paesi occidentali, ad esempio, gli economisti sono consapevoli da tempo della crescente divisione in termini di redditi e altri indicatori esistente tra alcune città ricche – che traggono beneficio dalla globalizzazione – e il resto del paese. Eppure, fino all’amministrazione del presidente francese Emmanuel Macron, nessun leader nazionale aveva approvato sgravi fiscali sulla base del luogo di residenza. Per effetto di ciò, l’1% del Pil francese viene ora ridistribuito in primis alle aree più povere del paese.    

I partiti tradizionali, inoltre, potrebbero imparare qualcosa ascoltando gli elettori direttamente, anziché solo attraverso il filtro dei media e dei sondaggi. Nel 2016, il movimento di Macron En Marche! ha dato vita al più grande tour dell’ascolto porta a porta della storia francese. Ciò che gli elettori hanno riferito agli intervistatori è diventato poi la base di partenza per la campagna presidenziale di Macron. 

Ad esempio, più di un anno prima delle rivelazioni sulle presunte molestie sessuali da parte di Harvey Weinstein, “La Grande Marche” aveva raccolto innumerevoli testimonianze di donne vittime di molestie, e Macron si era impegnato a combattere il problema qualora fosse stato eletto. All’epoca, tale presa di posizione lo aveva reso bersaglio di battute da parte degli avversari, i quali, però, poco dopo hanno smesso di ridere con l’inizio dell’era #MeToo.

PS_Sales_BacktoSchool_1333x1000_Promo

Don’t go back to school without Project Syndicate! For a limited time, we’re offering PS Digital subscriptions for just $50.

Access every new PS commentary, our suite of subscriber-exclusive content, and the full PS archive.

Subscribe Now

Tuttavia, una conoscenza precisa della società non basta. I partiti tradizionali soffrono anche di cattiva organizzazione. Per lungo tempo essi hanno creduto che la politica moderna dovesse articolarsi intorno alle elezioni e affidarsi ad apparizioni periodiche di gruppi di attivisti che distribuiscono volantini e tifano per i candidati. Non era cinismo, bensì un sintomo di un approccio che considera la democrazia come un mercato in cui convivono fornitori di politiche e cittadini consumatori. In quest’ottica, accaparrarsi e mantenere il potere è l’unica ragion d’essere di un partito. Non sorprende, pertanto, che i cittadini e persino alcuni membri dei partiti si sentano ignorati nell’intervallo tra due elezioni. 

Malgrado questi punti deboli, i partiti ufficiali hanno goduto di molti vantaggi che li hanno salvati dal fallimento. Negli ultimi anni, hanno avuto un vantaggio tecnologico rispetto agli avversari meno consolidati, e sono stati gli unici soggetti politici a poter contare su un elettorato organizzato in grado di mobilitare la gente per le elezioni, organizzare manifestazioni e presentare petizioni. 

Ma tale modello non è più sostenibile. Oggigiorno, i cittadini rifiutano di essere dei semplici consumatori di politiche pubbliche. Con l’aumento del livello d’istruzione sono arrivate nuove richieste di legittimazione. Gli elettori vogliono essere trattati come soggetti politici a pieno titolo, non come pedine di un gioco altrui.

Fra l’altro, gli stessi governi non sono più gli unici erogatori di politiche. Questa è una delle severe lezioni che abbiamo imparato nei due anni di lavoro a fianco di Macron all’Eliseo. Le principali sfide di oggi – cambiamento climatico, estremismi religiosi, rivoluzione digitale, parità di genere – non chiedono risposte soltanto dai governi nazionali, bensì esigono cambiamenti culturali profondi e, nella maggior parte dei casi, interventi a livello sub e sovranazionale. 

Infine, la tecnologia ha ridotto le barriere alla partecipazione politica, al punto che i partiti tradizionali non possono più contare su vantaggi storici e reti di supporto consolidate. Una volta imparato a usare Google, Twitter e Facebook, non c’è più bisogno di una macchina di partito centenaria.

I movimenti politici vanno ricostruiti tenendo presente tutto questo. Bisogna concentrare l’attenzione su azioni specifiche, non soltanto sulle elezioni. La struttura formale di un partito dovrebbe fungere da “back office” amministrativo, mentre il front office andrebbe gestito dagli operatori sul campo. A La République En Marche!, parliamo di progetti per la cittadinanza locale, che possono includere da corsi di lettura post-scolastici e programmi d’integrazione dei migranti a orti condivisi e corsi di formazione digitale per i cittadini più anziani. In ogni caso, l’idea è quella di offrire soluzioni su misura ai problemi locali, rafforzando così le comunità. Progetti del genere andrebbero ormai considerati parte integrante delle politiche pubbliche.   

In futuro, la capacità di un partito di riconoscere e premiare l’impegno politico e comunitario sarà fondamentale per aumentare la sua attrattiva. E dimostrando un progressismo all’opera giorno dopo giorno, i partiti avranno già gettato le basi per un buon risultato il giorno delle elezioni.   

Quando gli elettori rifiutano di ascoltare i messaggi dei politici, gridare più forte non è la soluzione. Questa è la dura lezione che i partiti tradizionali hanno imparato. Solo dimostrando un impegno volto a migliorare la vita dei cittadini, anziché semplicemente vincere le elezioni, potranno convincere la gente a schierarsi dalla loro parte. Riconnettersi con ciò che sta a cuore agli elettori, quindi, deve andare di pari passo con l’adeguamento delle organizzazioni partitiche. Per un’alternativa vincente al populismo, ci vuole un progressismo dal basso.

Traduzione di Federica Frasca

https://prosyn.org/DfyyXwoit