BERLINO – Se ci saranno dei geologi tra milioni di anni, riusciranno facilmente a individuare l’inizio della cosiddetta era Antropocene, ovvero l’era geologica in cui l’influenza degli esseri umani è diventata predominante sull’ambiente del nostro pianeta. Ovunque guarderanno, troveranno infatti prove evidenti della sua insorgenza sotto forma di rifiuti in plastica.
La plastica è un materiale essenziale nell’economia mondiale che si può trovare nelle macchine, nei cellulari, nei giocattoli, nelle confezioni, nei dispositivi medici e in molti altri prodotti. Nel 2015 sono state prodotte 322 milioni di tonnellate di plastica; una cifra che continua ad aumentare e che potrebbe addirittura quadruplicare entro il 2050 secondo le stime.
Ma la plastica sta già creando dei problemi enormi a livello ambientale, economico e sociale. Sebbene infatti servano delle risorse per produrla, è in realtà talmente economica che viene spesso usata per prodotti usa e getta e per lo più monouso. Di conseguenza, una gran parte finisce per inquinare la terra.
La plastica intasa le reti fognarie delle città e aumenta il rischio di alluvioni. Inoltre, i pezzi di plastica più grandi possono riempirsi di acqua piovana creando un terreno fertile per le zanzare che possono poi diffondere malattie. Ogni anno finiscono negli oceani fino a13 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica ed entro il 2050 nelle loro acque ci potrebbe essere più plastica che pesci. La plastica che si deposita sulle rive comporta poi un costo elevato per l’industria del turismo pari a centinaia di milioni di dollari ogni anno.
Inoltre, tutta questa plastica rappresenta una seria minaccia per la fauna selvatica. Oltre alle foche, ai pinguini e alle tartarughe che sono morte o stanno morendo per essere rimaste incastrate negli anelli o nelle reti di plastica, i biologi stanno trovando anche balene e uccelli morti con lo stomaco pieno di residui di plastica.
I prodotti di plastica non fanno bene neanche all’uomo. Se infatti da un lato la plastica utilizzata per confezionare i prodotti alimentari non è tossica, dall’altro la maggior parte della plastica contiene prodotti chimici; dagli ammorbidenti (che agiscono come interferenti endocrini) ai ritardanti di fiamma (che possono essere cancerogeni o tossici in alte concentrazioni). Queste sostanze chimiche possono sopravvivere negli oceani e nella catena alimentare e finire quindi nei nostri piatti.
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Non sarà facile gestire il problema, infatti nessun paese o azienda, per quanto determinata, lo può fare individualmente. Molti attori compresi i principali produttori di plastica, ovvero i principali inquinatori, le inziative a rifiuti zero, i laboratori di ricerca e le cooperative per la raccolta dei rifiuti, dovranno affrontare il problema di petto.
Il primo passo è creare un forum di alto livello per facilitare la discussione tra i principali attori con l’obiettivo di sviluppare una strategia cooperativa per ridurre l’inquinamento causato dalla plastica. Questa strategia dovrebbe andare oltre i piani e le partnership di azione volontaria per focalizzarsi invece sullo sviluppo di un accordo internazionale vincolante sul piano legale, sostenuto da un impegno da parte di tutti i governi volto a eliminare l’inquinamento causato dalla plastica. Le negoziazioni per definire questo trattato potrebbero già essere avviate quest’anno all’Assemblea delle Nazioni Unite sull’ambiente prevista per dicembre a Nairobi.
Gli scienziati hanno già avanzato delle proposte concrete per un trattato contro l’inquinamento causato dalla plastica. Uno degli autori di quest’articolo ha proposto di istituire una convenzione sul modello dell’accordo di Parigi sul clima, definendo un obiettivo comprensivo vincolante con dei piani d’azione nazionali volontari e misure flessibili per raggiungere l’obiettivo prefissato. Un team di ricerca dell’Università di Wollongong in Australia, traendo ispirazione dal Protocollo di Montreal volto a salvaguardare lo strato di ozono, ha suggerito di imporre dei limiti e dei divieti sulle nuove produzioni di plastica.
Alcuni potrebbero chiedersi perché dovremmo imbarcarci in un altro viaggio lungo la strada lunga, tortuosa e faticosa delle negoziazioni per un trattato globale. Non si potrebbe invece trovare un nostro modo per uscire dal problema della plastica?
La risposta più breve è probabilmente no. La plastica biodegradabile, ad esempio, è utile solo se si decompone in tempi sufficientemente rapidi da evitare eventuali danni alla fauna selvatica. Anche scoperte promettenti come i batteri o le tarme in grado di dissolvere o digerire la plastica possono fornire solo un contributo complementare.
L’unico vero modo per affrontare il problema è ridurre i rifiuti in plastica. La tecnologia può aiutare offrendo nuove opzioni per la sostituzione o il riciclo, ma in realtà non è necessario. come hanno dimostrato le varie comunità e città a rifiuti zero.
Capannori, ad esempio, una cittadina di 46.700 abitanti vicino a Lucca in Toscana, ha avviato una strategia a rifiuti zero nel 2007 e dieci anni dopo ha ridotto i suoi rifiuti del 40%. Con l’82% dei rifiuti municipali differenziati alla fonte, solo il 18% degli scarti dei rifiuti finisce infatti nelle discariche. Queste esperienze dovrebbero fornire informazioni e dettare delle linee guida per dei piani d’azione nazionali che potrebbero convergere in un trattato sulla plastica.
Il “pacchetto sull’economia circolare” della Commissione europea può essere un altro esempio da seguire. Anche se non è ancora stato implementato, i target di riduzione dei rifiuti indicati hanno il potenziale per ridurre le emissioni di CO2 di 190 milioni di tonnellate all’anno nell’Unione europea; una cifra pari alle emissioni annuali dei Paesi Bassi.
Ovviamente, la transizione ad un regime a rifiuti zero richiede degli investimenti. Qualsiasi trattato internazionale sulla plastica deve pertanto comprendere un meccanismo di finanziamento, ed il principio del “chi inquina paga” è un buon inizio. L’industria globale della plastica, che ricava circa 750 miliardi di dollari l’anno, potrebbe senza dubbio trovare qualche centinaia di milioni di dollari per aiutare a pulire il disastro che ha prodotto.
Non sarà facile arrivare ad un trattato sulla plastica esaustivo, vincolante e lungimirante. Ci vorrà del tempo, ci saranno dei costi aggiuntivi ed emergeranno senza dubbio delle lacune e delle carenze. Inoltre, un simile trattato sicuramente non risolverà di per sé il problema dell’inquinamento provocato dalla plastica, ma è una condizione essenziale per ottenere dei buoni risultati.
L’inquinamento causato dalla plastica è un problema tipico dell’era Antropocene. E’ dopotutto una piaga globale provocata interamente da noi, e risolverla rientra nelle nostre possibilità.
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At the end of a year of domestic and international upheaval, Project Syndicate commentators share their favorite books from the past 12 months. Covering a wide array of genres and disciplines, this year’s picks provide fresh perspectives on the defining challenges of our time and how to confront them.
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BERLINO – Se ci saranno dei geologi tra milioni di anni, riusciranno facilmente a individuare l’inizio della cosiddetta era Antropocene, ovvero l’era geologica in cui l’influenza degli esseri umani è diventata predominante sull’ambiente del nostro pianeta. Ovunque guarderanno, troveranno infatti prove evidenti della sua insorgenza sotto forma di rifiuti in plastica.
La plastica è un materiale essenziale nell’economia mondiale che si può trovare nelle macchine, nei cellulari, nei giocattoli, nelle confezioni, nei dispositivi medici e in molti altri prodotti. Nel 2015 sono state prodotte 322 milioni di tonnellate di plastica; una cifra che continua ad aumentare e che potrebbe addirittura quadruplicare entro il 2050 secondo le stime.
Ma la plastica sta già creando dei problemi enormi a livello ambientale, economico e sociale. Sebbene infatti servano delle risorse per produrla, è in realtà talmente economica che viene spesso usata per prodotti usa e getta e per lo più monouso. Di conseguenza, una gran parte finisce per inquinare la terra.
La plastica intasa le reti fognarie delle città e aumenta il rischio di alluvioni. Inoltre, i pezzi di plastica più grandi possono riempirsi di acqua piovana creando un terreno fertile per le zanzare che possono poi diffondere malattie. Ogni anno finiscono negli oceani fino a13 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica ed entro il 2050 nelle loro acque ci potrebbe essere più plastica che pesci. La plastica che si deposita sulle rive comporta poi un costo elevato per l’industria del turismo pari a centinaia di milioni di dollari ogni anno.
Inoltre, tutta questa plastica rappresenta una seria minaccia per la fauna selvatica. Oltre alle foche, ai pinguini e alle tartarughe che sono morte o stanno morendo per essere rimaste incastrate negli anelli o nelle reti di plastica, i biologi stanno trovando anche balene e uccelli morti con lo stomaco pieno di residui di plastica.
I prodotti di plastica non fanno bene neanche all’uomo. Se infatti da un lato la plastica utilizzata per confezionare i prodotti alimentari non è tossica, dall’altro la maggior parte della plastica contiene prodotti chimici; dagli ammorbidenti (che agiscono come interferenti endocrini) ai ritardanti di fiamma (che possono essere cancerogeni o tossici in alte concentrazioni). Queste sostanze chimiche possono sopravvivere negli oceani e nella catena alimentare e finire quindi nei nostri piatti.
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Il primo passo è creare un forum di alto livello per facilitare la discussione tra i principali attori con l’obiettivo di sviluppare una strategia cooperativa per ridurre l’inquinamento causato dalla plastica. Questa strategia dovrebbe andare oltre i piani e le partnership di azione volontaria per focalizzarsi invece sullo sviluppo di un accordo internazionale vincolante sul piano legale, sostenuto da un impegno da parte di tutti i governi volto a eliminare l’inquinamento causato dalla plastica. Le negoziazioni per definire questo trattato potrebbero già essere avviate quest’anno all’Assemblea delle Nazioni Unite sull’ambiente prevista per dicembre a Nairobi.
Gli scienziati hanno già avanzato delle proposte concrete per un trattato contro l’inquinamento causato dalla plastica. Uno degli autori di quest’articolo ha proposto di istituire una convenzione sul modello dell’accordo di Parigi sul clima, definendo un obiettivo comprensivo vincolante con dei piani d’azione nazionali volontari e misure flessibili per raggiungere l’obiettivo prefissato. Un team di ricerca dell’Università di Wollongong in Australia, traendo ispirazione dal Protocollo di Montreal volto a salvaguardare lo strato di ozono, ha suggerito di imporre dei limiti e dei divieti sulle nuove produzioni di plastica.
Alcuni potrebbero chiedersi perché dovremmo imbarcarci in un altro viaggio lungo la strada lunga, tortuosa e faticosa delle negoziazioni per un trattato globale. Non si potrebbe invece trovare un nostro modo per uscire dal problema della plastica?
La risposta più breve è probabilmente no. La plastica biodegradabile, ad esempio, è utile solo se si decompone in tempi sufficientemente rapidi da evitare eventuali danni alla fauna selvatica. Anche scoperte promettenti come i batteri o le tarme in grado di dissolvere o digerire la plastica possono fornire solo un contributo complementare.
L’unico vero modo per affrontare il problema è ridurre i rifiuti in plastica. La tecnologia può aiutare offrendo nuove opzioni per la sostituzione o il riciclo, ma in realtà non è necessario. come hanno dimostrato le varie comunità e città a rifiuti zero.
Capannori, ad esempio, una cittadina di 46.700 abitanti vicino a Lucca in Toscana, ha avviato una strategia a rifiuti zero nel 2007 e dieci anni dopo ha ridotto i suoi rifiuti del 40%. Con l’82% dei rifiuti municipali differenziati alla fonte, solo il 18% degli scarti dei rifiuti finisce infatti nelle discariche. Queste esperienze dovrebbero fornire informazioni e dettare delle linee guida per dei piani d’azione nazionali che potrebbero convergere in un trattato sulla plastica.
Il “pacchetto sull’economia circolare” della Commissione europea può essere un altro esempio da seguire. Anche se non è ancora stato implementato, i target di riduzione dei rifiuti indicati hanno il potenziale per ridurre le emissioni di CO2 di 190 milioni di tonnellate all’anno nell’Unione europea; una cifra pari alle emissioni annuali dei Paesi Bassi.
Ovviamente, la transizione ad un regime a rifiuti zero richiede degli investimenti. Qualsiasi trattato internazionale sulla plastica deve pertanto comprendere un meccanismo di finanziamento, ed il principio del “chi inquina paga” è un buon inizio. L’industria globale della plastica, che ricava circa 750 miliardi di dollari l’anno, potrebbe senza dubbio trovare qualche centinaia di milioni di dollari per aiutare a pulire il disastro che ha prodotto.
Non sarà facile arrivare ad un trattato sulla plastica esaustivo, vincolante e lungimirante. Ci vorrà del tempo, ci saranno dei costi aggiuntivi ed emergeranno senza dubbio delle lacune e delle carenze. Inoltre, un simile trattato sicuramente non risolverà di per sé il problema dell’inquinamento provocato dalla plastica, ma è una condizione essenziale per ottenere dei buoni risultati.
L’inquinamento causato dalla plastica è un problema tipico dell’era Antropocene. E’ dopotutto una piaga globale provocata interamente da noi, e risolverla rientra nelle nostre possibilità.
Traduzione di Marzia Pecorari