Fed chair Janet Yellen Chip Somodevilla/Getty Images

Chi Vuole la Deregulation della Finanza?

LONDRA – Da quando all’entrata della West Wing della Casa Bianca funziona una porta girevole, è difficile tenere traccia di chi entra ed esce dai corridoi del potere americano. Tutto quanto viene scritto sul personale e sulle politiche dell’amministrazione Trump può essere invalidato prima della pubblicazione.

Almeno per il momento, tuttavia, gli attori fondamentali della politica economica rimangono al loro posto. Steve Mnuchin è ancora il Segretario del Tesoro e non è stato menzionato nei comunicati durante le ultime lotte di potere. Gary Cohn continua a presiedere il National Economic Council, anche se si è dichiarato insoddisfatto da alcune dichiarazioni del presidente su questioni non economiche. E naturalmente Janet Yellen è ancora al comando della Federal Reserve, almeno fino al febbraio del prossimo anno.

Ma questa stabilità non sembra indicare una visione unitaria e definita della politica economica e finanziaria, in particolare riguardo al futuro quadro di regolamentazione finanziaria. Una recente intervista degna di nota del Financial Times con il vice presidente della Fed, Stanley Fischer, ha rivelato alcuni gravi dissensi.

I banchieri centrali in genere sono campioni di understatement ed ambiguità. Gli osservatori della Fed devono analizzare le minime differenze nelle espressioni e nei toni per cogliere cambiamenti di pensiero. Come notoriamente Alan Greenspan ha dichiarato ad un comitato congressuale, “se sono risultato particolarmente chiaro, probabilmente si è frainteso ciò che ho detto”. Quindi, il linguaggio usato in tale occasione da Fischer, normalmente il più gentile e cortese degli uomini, dovrebbe indurci a prestare attenzione.

Egli ha dichiarato che il sistema politico degli Stati Uniti “può portarci in una direzione molto pericolosa”. Riferendosi alle mosse per riportare al passato gli elementi della nuova regolamentazione istituita in risposta alle debacle del 2008-9, ha lamentato che “tutti vogliono tornare allo status quo di prima della grande crisi finanziaria”. Ed ha dichiarato che “non si riesce a capire perché persone adulte ed intelligenti giungano alla conclusione che ci si dovrebbe sbarazzare di tutto quanto messo in atto negli ultimi dieci anni”.

Queste sono dichiarazioni notevoli, che meritano una decostruzione. Fischer non può intendere letteralmente che “tutti” vogliono tornare allo status quo ante. La comunità accademica è prevalentemente a favore di una regolamentazione ancora più rigorosa delle banche, con maggiori requisiti patrimoniali. Con poche eccezioni, la stampa sostiene posizioni ancora più dure. Inoltre, non conosco un solo presidente di banca che ritenga sensato il ritorno a rapporti di leverage superiore a 40, ed ad un capitale tier 1 del 2%.

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Dunque, chi sono i “tutti” di questa dichiarazione? La frase mi ricorda la frequente osservazione di mia madre quando diceva che “qualcuno”, senza nome, non aveva messo in ordine la sua camera da letto (io ero figlio unico). Ma qui l’indiziato non è così evidente. Le uniche proposte concrete che emergono finora dall’amministrazione sono presenti in un serio documento pubblicato in giugno dal Tesoro degli Stati Uniti. È vero che il titolo del documento, “Un Sistema Finanziario che Crea Opportunità Economiche”, ha un sapore politico; ma le idee specifiche che vengono proposte non sono esattamente quelle che si trovano sulle sponde selvagge frequentate dai sostenitori del “free banking”.

Gli autori del documento – firmato da Mnuchin stesso – vogliono riformare il complesso, incoerente e sovrapposto patchwork di agenzie di regolamentazione rimaste in vigore dalla crisi. L’ex presidente della Fed Paul Volcker, difficilmente collocabile tra gli esponenti delle lobby delle banche d’investimento, da qualche tempo, sostiene lo stesso argomento.

Il documento raccomanda inoltre una razionalizzazione dei regolamenti estremamente complessi, con l’attenuazione per alcune banche più “semplici” dei processi più gravosi e costosi e la riduzione del numero di documenti richiesti da presentare alle autorità e quello delle prove da stress. Si può discutere dei dettagli, ma, in generale, questo non sembra un ritorno ad una situazione pre-crisi da “liberi tutti”. Il documento non suggerisce in alcun modo che vi debba essere un significativo abbassamento dei requisiti patrimoniali, ma si raccomanda invece che per le banche di importanza sistemica gli aumenti di capitale siano “rivalutati”.

L’unico capitolo preoccupante, per un lettore non statunitense, riguarda le norme internazionali, che dovrebbero essere accettate e implementate solo se “soddisfano le esigenze del sistema finanziario degli Stati Uniti e del popolo americano”. Nell’accordo di Basilea non vengono esplicitate esattamente le modalità con cui quest’ultimo verrà consultato riguardo alla ponderazione dei rischi.

È comunque difficile capire perché questo documento avrebbe dovuto turbare in modo così forte l’equilibrio di Fischer. Forse egli intendeva prospettare la presenza, al centro dell’amministrazione, di ulteriori disaccordi fondamentali riguardo alla regolamentazione finanziaria. O forse la Fed stessa teme che dietro la razionalizzazione normativa si celi una riduzione delle sue responsabilità, cresciute notevolmente a partire dalla crisi.

Sarebbe un peccato se l’opposizione della Fed al cambiamento impedisse un dibattito che, dieci anni dopo, si interroghi sulla sensatezza, sia sul piano individuale che su quello collettivo,  di tutti i cambiamenti compiuti – spesso con fretta devastante. Dopo tutto, molti cambiamenti dell’ambiente competitivo in cui le banche operano – i nuovi sistemi di pagamento, i prestatori peer-to-peer, le banche ombra ed il resto – richiedono un’attenta analisi e riflessione.

Quindi è certamente opportuno che il Tesoro statunitense apra un dibattito. E lo faccia seriamente. I banchieri centrali dovrebbero fare attenzione a non suggerire che non ci sia niente da discutere, che la “bambinaia ne sa di più” ed i bambini non dovrebbero porre domande imbarazzanti, come “Perché?”. Questo non è mai stato un buon modo per convincere un adolescente a mantenere la sua stanza ordinata. Non funzionerà neanche per i legislatori o le banche.

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