elerian156_Drew AngererGetty Images_jeromepowell Drew Angerer/Getty Images

Problemi di credibilità per la Fed

CAMBRIDGE – In reazione all’improvviso crollo della Silicon Valley Bank (SVB), André Esteves, banchiere brasiliano, ha recentemente dichiarato a Bloomberg che “il rischio di tasso di interesse della SVB sarebbe stato ovvio per qualsiasi stagista bancario in America latina”. Ad alcuni questa osservazione suonerà piuttosto assurda provenendo da una regione dove non sono mancati i problemi nel settore bancario. Tuttavia, il sentimento di Esteves è sintomatico, perché riflette le crescenti preoccupazioni in tutto il mondo per le politiche della Federal Reserve statunitense e per i gravi effetti di ricaduta su altri paesi.

Ci sono buone ragioni per preoccuparsi. Solo negli ultimi tre anni, la Fed ha gestito male il suo ciclo di rialzo dei tassi di interesse, ha affrontato accuse di insider trading, è inciampata nella sua supervisione delle banche e, attraverso una comunicazione incoerente, ha alimentato anziché placato la volatilità del mercato in diverse occasioni.

Questi fallimenti stanno diventando sempre più significativi per il pubblico. L’inflazione è rimasta troppo alta per troppo tempo, derubando le persone del potere d’acquisto e colpendo in modo particolarmente duro i poveri. I crolli bancari del mese scorso sono stati ritenuti abbastanza gravi da consentire alle autorità di “rompere il vetro” attivando l’“eccezione di rischio sistemico”; ma questa risposta potrebbe ora imporre un onere maggiore a tutti i depositanti. Tali accadimenti, inclusa la minaccia di una minore disponibilità di credito, hanno incrementato il rischio che gli Stati Uniti cadano in recessione, alimentando l’insicurezza del reddito in quella che altrimenti sarebbe considerata un’economia forte.

I problemi della Fed dovrebbero preoccupare tutti. La perdita di credibilità influisce direttamente sulla sua capacità di mantenere la stabilità finanziaria e guidare i mercati in modo coerente con il suo duplice mandato di mantenere la stabilità dei prezzi e sostenere la massima occupazione. Personalmente non riesco a ricordare un momento in cui così tanti ex funzionari della Fed siano stati così critici nei confronti delle proiezioni economiche dell’istituzione, che dovrebbero ispirare la progettazione e l’attuazione della politica monetaria.

Ovunque a livello internazionale si sentono lamentele sui fallimenti della Fed (e sulle negative ricadute globali). Lo scorso ottobre Edward Luce del Financial Timescolse perfettamente il sentore in un commento dal titolo: “Il mondo inizia a odiare la Fed”. E più recentemente, durante una conferenza stampa, i funzionari svizzeri che si occupano della vendita forzata d’emergenza della seconda banca più grande del paese elvetico hanno imputato i loro problemi anche al fallimento della SVB.

Né ricordo un momento in cui i mercati siano stati così sprezzanti nei confronti della forward-guidance della Fed. La divergenza tra la traiettoria dei tassi di interesse dichiarata dalla Fed per il 2023 e le aspettative del mercato è stata recentemente ampia, pari a un punto percentuale. Si tratta di un divario notevolmente vasto per la banca centrale al centro del sistema finanziario globale. I mercati continuano ad andare contro tutto ciò che sentono e leggono dalla Fed scommettendo su una sforbiciata dei tassi già da giugno.

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La comunicazione incoerente della Fed non ha aiutato. Ricerche recenti rilevano che “la volatilità del mercato è tre volte superiore durante le conferenze stampa tenute dall’attuale presidente Jerome Powell rispetto a quelle tenute dai suoi predecessori, e tendono a invertire le reazioni iniziali del mercato alle dichiarazioni del Comitato”.

Non c’è da stupirsi che ci siano stati movimenti estremi all’interno della parte della curva dei rendimenti che è fortemente influenzata dalla Fed e che funge da base per una serie di attività finanziarie nazionali e internazionali. Nelle ultime settimane, ad esempio, il rendimento a due anni è stato scambiato in un intervallo molto insolito di 1,5 punti percentuali, alimentando le voci – non solo all’interno dei media finanziari specializzati – di un “folle scambio di obbligazioni”.

Queste divergenze arrivano tutte sulla scia di precedenti errori della Fed. Dopo aver insistito nel definire l’inflazione come “transitoria” per la maggior parte del 2021, la Fed non è poi riuscita ad agire prontamente dopo aver “ritirato” tardivamente quella diagnosi errata. Di conseguenza, alla fine ha dovuto azionare il freno con una serie mai vista prima di quattro rialzi consecutivi di 0,75 punti base.

A questo punto, non si può negare che la banca centrale più potente del mondo abbia perso la rotta con le sue analisi, previsioni, politiche e comunicazioni. Questa è la cattiva notizia. La buona notizia è che la Fed può ancora raddrizzare la nave adottando un approccio strategico migliore per la sua analisi e le sue azioni e affrontando due grandi problemi strutturali.

Il primo problema è il pensiero di gruppo: i decision-maker della Fed sembrano non avere punti di vista diversificati né quella grande competenza riscontrabile in altre grandi banche centrali. Farebbero bene a seguire l’esempio della Bank of England e ad aggiungere all’organismo decisionale della Fed due membri esterni indipendenti con diritto di voto.

Il secondo problema riguarda la responsabilità di base. Anche se il presidente della Fed compare davanti al Congresso due volte l’anno, quelle udienze non si focalizzano su ciò che conta davvero: la progettazione e l’attuazione delle politiche della Fed. Il processo richiede un ulteriore livello di due diligence, con specialisti del settore che riferiscono anche al Congresso prima delle udienze regolarmente programmate.

Si è discusso molto sull’eventualità che la Fed guidata da Powell possa essere ricordata accanto alla Fed di (Paul) Volcker per aver lottato contro l’inflazione, o accanto alla Fed di (Arthur) Burns per aver aperto le porte alla stagflazione. La mia preoccupazione è che finisca per essere ricordata in una categoria a sé stante, come la Fed che ha minato la propria credibilità, la propria autonomia politica e il ruolo cruciale di ancoraggio dell’America al centro dell’economia globale.
 

Traduzione di Simona Polverino

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