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Chiuso con la deglobalizzazione?

HONG KONG – Novembre è stato un mese straordinario. I leader mondiali si sono riuniti per quattro importanti incontri: l’incontro dell’ASEAN in Cambogia, il vertice del G20 in Indonesia, il forum della Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) in Tailandia e la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP27) in Egitto. Ciò che ha colpito non è stata la tempistica degli incontri, ma piuttosto il fatto di aver dato prova che si possa passare dal confronto a una rinnovata cooperazione nell’arena internazionale.

Negli ultimi anni l’economia globale sembra essersi allontanata dall’impegno e dalla collaborazione multilaterali, optando per una competizione alimentata dal nazionalismo. Alcuni, in particolare le economie emergenti, hanno tentato di resistere a questa tendenza, ad esempio rifiutandosi di sostenere le sanzioni occidentali contro la Russia. Ma tali sforzi sembrano aver avuto un impatto minimo.

Come hanno notato numerosi osservatori, un’inversione completa della globalizzazione sarebbe praticamente impossibile. Secondo una ricerca del McKinsey Global Institute, nessuna regione, né tanto meno nessun Paese, è vicina all’autosufficienza. Ma ciò non ha impedito ad alcuni Paesi e leader – in particolare gli Stati Uniti – di perseguirla. E anche la parziale deglobalizzazione che hanno perseguito avrebbe conseguenze di vasta portata, alcune delle quali – come l’aumento dell’inflazione e l’accresciuto rischio di indebitamento – stanno già diventando evidenti.

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